Introduzione
Conoscete il miso? Sicuramente questo nome vi ricorda qualcosa, ma approfondiamo insieme questo cibo orientale. Il miso è un alimento fermentato e ha una consistenza cremosa, viene utilizzato per dare un tocco di sapore alle zuppe. In commercio si trova liofilizzato ma le caratteristiche nutrizionali sono diverse dal prodotto fresco.
Il miso ha come ingrediente principale la soia anche se spesso si utilizzano i legumi, i cereali e gli pseudocereali, per questo ne esistono diverse tipologie che si distinguono anche in base al grado di fermentazione. Il miso è stato importato nel XIII secolo ed essendo molto nutriente è stato determinante per la sopravvivenza della popolazione nei periodi più difficili. I vegani lo apprezzano per il contenuto proteico, salino e vitaminico.
Come si produce il miso?
Il miso, come anticipato, è un alimento fermentato. Il prodotto si ricava dalla fermentazione dell’amido, un processo attivato da microorganismi fungini del genere Aspergillus, specie oryzae; successivamente si sviluppano delle colonie di batteri che non sono pericolosi per la salute dell’uomo perché sono probiotici. Una piccola precisazione circa l’oryzae che è la stessa muffa da cui si ricava la salsa di soia, il sakè e l’aceto di riso. Dopo la raccolta dei semi si passa alla cottura in acqua oppure al vapore, in seguito si macinano e si aggiunge una coltura microbica chiamata koji, il sale o l’acqua salata. Il miso viene fatto fermentare per 5 giorni oppure 4, 12 e 24 mesi.
Caratteristiche nutrizionali
Il miso viene considerato un alimento vivo perché fermentato, ma solo quello al naturale perché, oltre alle muffe del genere Aspergillus, sviluppa i batteri probiotici Tetragenococcus halophilus e Lactobacillus acidophilus che rinforzano la flora intestinale. Per godere di tutte le proprietà benefiche del miso dovrebbe essere cotto a temperature inferiori a 70° per evitare che il calore distrugga i batteri probiotici e soprattutto lontano dai pasti, altrimenti gli acidi gastrici li distruggono.
Una delle caratteristiche nutrizionali più “famose” del miso è la presenza di vitamina B12 (cobalamina). I regimi alimentari vegetariani e vegani causano delle carenze di vitamina B12, ecco perché il miso è un alimento così apprezzato, inoltre è consigliato il consumo alle donne gravide e a chi soffre di anemia megaloblastica. Attenzione al contenuto di sale, il miso infatti contiene il 40% di sodio e comporta degli effetti collaterali come rischio di ipertensione e peggioramento di gastrite e sindromi renali. Inoltre ricordiamo che il miso ricavato dall’orzo, dal frumento, dalla segale, dall’avena, dal farro e dal sorgo, contiene glutine, quindi i celiaci non possono consumarlo.
Tipologie di miso
Il miso appena prodotto ha un colore chiarissimo tendente al bianco, le caratteristiche nutrizionali sono scarse e la consistenza è gelatinosa. Il miso stagionato invece ha un sapore deciso, è di consistenza granulosa e di colore marrone scuro. Per quanto riguarda il prodotto a fermentazione media, è possibile riconoscerlo dal colore giallo o rossastro. In Giappone si distinguono tre tipologie principali di miso che sono lo shiromiso, ovvero il miso bianco, l’akamiso cioè il miso rosso, e l’awasemiso, il miso stagionato. Tra le variabili che possono incidere sulle caratteristiche del prodotto ci sono anche il luogo di produzione, la stagione e la temperatura, il grado di macinazione e ancora la quantità di sale utilizzata e persino la varietà di koji e il recipiente che si utilizza per la fermentazione.
Come si conserva il miso?
Il miso viene venduto in contenitori che sono sigillati ermeticamente e dopo averli aperti si ripongono in frigo per qualche giorno. Gli “effetti” del sottovuoto infatti durano una settimana appena. Per quanto riguarda l’utilizzo, quello corretto sarebbe “a crudo” anche se, come abbiamo spiegato, si scioglie nelle zuppe. L’unico accorgimento è la temperatura della brodaglia che non deve essere troppo alta per non distruggere le muffe e le colonie di batteri.
Il miso in cucina
Ingrediente per eccellenza della cucina giapponese, conferisce ai piatti gusto e aroma unici. Il piatto giapponese più famoso è la zuppa di miso. La popolazione nipponica la consuma a colazione con una ciotola di gohan (riso bianco). Tuttavia si trova anche in altre ricette come ramen, udon, nabe e imoni.
Una piccola curiosità riguarda il nome dei piatti che hanno “miso” come prefisso, per esempio “miso-nabe”. Ci sono anche alcune salse dolci che hanno il miso tra gli ingredienti, quella più conosciuta è la mochi dango una glassa golosa facilmente reperibile in qualsiasi periodo dell’anno anche se è la “protagonista” dei festival locali e nazionali. Tra le specialità a base di miso c’è anche la misozuke, una specie di salamoia per conservare i cetrioli, il daikon, le melanzane e il cavolo cinese “hakusai”. Nonostante il miso sia “salato” rispetto alle salamoie tradizionali queste sono più dolci. Tra gli altri utilizzi in cucina del miso segnaliamo il dengaku che è un miso zuccherato perfetto per gli alimenti grigliati; yakimochi, che sono mochi cotti alla brace completamente ricoperti di miso; funghi e verdure brasati con il miso.
Per la preparazione della famosa zuppa di miso, ammollate una striscia di alga wakame e poi fatela bollire in una pentola con una tazza d’acqua e ½ cipolla affettata finemente. Aggiungete 4-5 funghi shiitake (ammollati in acqua) e dopo 20 minuti versate la zuppa in una ciotola e sciogliete un cucchiaino di miso di riso. Fate raffreddare e condite con cipollotto e prezzemolo tritati. Potete consumare il miso sotto forma di tisana, versando un cucchiaino in una tazza di acqua calda. Ricordate sempre di bere lontano dai pasti sino ad un massimo di 2 tazze al giorno per regolare l’intestino e 3 tazze se siete in menopausa perché il miso aiuta a combattere la fragilità ossea.
Il miso è un alimento che si può preparare anche a casa ma la ricetta è difficile e pericolosa perché si sviluppano muffe e batteri che, seppur innocui per l’uomo, possono causare contaminazioni. Il miso può portare alla formazione di colonie di microrganismi nocivi tra cui alcuni Aspergillus e in particolare l’A. flavus e l’A. Parasiticus. I composti definiti aflatossine sono responsabili di intossicazioni e di mutazioni cancerose a livello del fegato.