Addio mucca pazza: il morbo è sotto controllo

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Molti di voi ricorderanno la vicenda della “mucca pazza” che ha coinvolto allevatori, produttori e veterinari. Dopo 14 anni finalmente si può tirare un sospiro di sollievo perché lo scorso 17 marzo 2015, il Ministero …

Molti di voi ricorderanno la vicenda della “mucca pazza” che ha coinvolto allevatori, produttori e veterinari. Dopo 14 anni finalmente si può tirare un sospiro di sollievo perché lo scorso 17 marzo 2015, il Ministero della Salute ha modificato la lista dei materiali ricavati dalla macellazione di bovini ritenuti pericolosi. L’ultimo aggiornamento era stato effettuato nel 2001 in seguito alla vicenda della BSE (encefalopatia spongiforme bovina) conosciuto come “morbo della mucca pazza”, e dalle nostre tavole erano sparite molte specialità e il budello del bovino non venne più usato nemmeno per insaccare i salumi. Scienziati e ricercatori hanno avviato una serie di studi per cercare di fare luce sulle origini di questo morbo e soprattutto per trovare un metodo per debellarlo. Lo scorso 13 febbraio 2014, l’EFSA ha scagionato definitivamente l’intestino come organo a rischio BSE in quanto l’infettività risiederebbe nel sistema nervoso centrale del bovino per una percentuale del 90%. Dal 2001 sono stati monitorati circa 8 milioni di bovini e sono stati intensificati i controlli e l’Italia è stata “promossa” dall’UE entrando nell’elenco dei paesi a “rischio trascurabile”.

Maria Caramelli, il Direttore Generale dell’Istituto Zooprofilattico Sperimentale del Piemonte, Liguria e Valle d’Aosta, è una delle maggiori esperte di BSE e dobbiamo dire che è stata anche una delle più caparbie. Quando si è diffusa l’epidemia, alcuni studi britannici avevano riscontrato che il prione (la proteina agente della BSE) si trovava nell’intestino. Una delle ipotesi degli studiosi riguardava il suo viaggio nell’intestino prima si raggiungere il cervello e il midollo spinale del bovino, quindi per evitare tutti i rischi, questa parte dell’animale venne bandita a scopo precauzionale.

Sono passati davvero tanti anni ma tutto questo tempo non è stato speso invano perché in Europa non esiste quasi più il morbo della mucca pazza. In Italia sin dal 2011 si sono registrati pochissimi casi anche perché i mangimi a base di carne e di ossa, sospettati di essere i principali veicoli di trasmissione della BSE, non erano più utilizzati. Un altra scoperta molto interessante riguarda l’età dei capi di bestiame colpiti che tende a crescere sempre di più. Se i bovini anziani si ammalano viene subito rimosso il cervello. Se ci pensate questa è una buona notizia perché finalmente con l’intestino si realizzano dei buonissimi salumi, eccellenze del made in Italy.

L’intestino dei bovini per gli insaccati

La CEA di Torino ha realizzato una guida con le misure per l’applicazione delle norme contenute nel regolamento comunitario. Scorrendola si legge che solo il cervello, gli occhi e il midollo spinale degli animali di età superiore a 12 mesi sono esclusi dal consumo perché a rischio. Il budello invece può essere tranquillamente utilizzato perché gli animali sono sottoposti a continue ispezioni veterinarie. Sempre nella guida della CEA si legge che la struttura rimane inalterata durante il processo di lavorazione, grazie alla pulizia accurata e alla successiva conservazione sotto sale. Le budella naturali sono usate da secoli perché consentono di ottenere alimenti eccellenti sotto tutti i punti di vista: gusto, profumo e aroma.

Paura della mucca pazza? Mangia gli insetti

Tuttavia se non siete ancora convinti che il morbo della mucca pazza sia soltanto un vecchio ricordo, potete sempre riempire il vostro piatto con altre proteine. La popolazione mondiale è in crescita, quindi è necessario trovare metodi alternativi per sfamare tutti. Da alcuni anni le principali finti di proteine sono cambiate e, in futuro, potrebbe accadere qualcosa già visto nelle trasmissioni televisive: mangiare gli insetti.

Dovete sapere che in Congo sta per partire un progetto per la creazione di una farming di insetti con programmazione sostenibile. Aaron Ross, giornalista della Reuters, ha realizzato un interessante reportage a Kinshasa dove gli insetti fanno parte della tradizione culinaria da centinaia di anni, un po’ come le alici nelle orecchiette con le cime di rapa. Anche in Congo è stato esportato lo street food, l’unica differenza è che nel menu ci sono insetti. Ovviamente sono considerati delle prelibatezze da gustare in occasioni speciali. Solitamente vengono cucinati con limone, aglio, cipolla e pepe e volte hanno un costo superiore alla carne e al pesce. Per acquistare 1 chilo di grilli si devono sborsare circa 50 dollari (per 1 chilo di manzo si possono spendere anche 20 dollari). Il costo è così elevato perché vengono raccolti a mano nei boschi e non sono disponibili in tutte le stagioni.

I numeri del consumo di insetti nella Repubblica Democratica del Congo aumentano di anno in anno (nel 2014 si parla di 14mila tonnellate). Ogni settimana un congolese mangia circa 300 grammi di insetti. Lo sappiamo che sul tuo volto ci sono solo espressioni disgustate e che l’ultima volta che sei stato alla sagra della rana non hai più mangiato per una settimana, però dal punto di vista salutistico gli insetti sono eccezionali.

Il progetto per la coltivazione degli insetti in Congo è stato avviato in collaborazione con la FAO ed è stato affidato a 200 produttori locali che hanno messo a disposizione le loro fattorie. Si tratta soprattutto di donne che sono state formate. Lo step successivo è quello di far nascere un istituto nazionale per allevare gli insetti a basso impatto ambientale. Nel paese è ancora diffusa la malnutrizione e un allevamento di questo tipo non ha costi molto elevati, grazie alla disponibilità di materia prima sempre meno gente potrebbe morire a causa della fame.

Altre fonti di proteine: alghe e quinoa

Durante il meeting annuale dell’Institute of Food Technologies di Chicago oltre agli insetti sono state considerate altre fonti di proteine di cui vi abbiamo già parlato in questa sezione: le alghe e la quinoa. Le alghe contengono il 63% di proteine, il 15% di fibre, l’11% di lipidi, il 4% di carboidrati, il 4% di micronutrienti e il 3% di altre sostanze facili da digerire. Sono molto facili da coltivare e hanno un impatto ambientale basso. La quinoa invece è il falso cereale del momento, in commercio ci sono più di 1.400 prodotti e il numero è destinato a crescere.

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